ordinò loro di non allontanarsi, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre

ordinò loro di non allontanarsi, ma di attendere  che si adempisse la promessa del Padre
Abacuc 3,4:"Il suo splendore è pari alla luce; dei raggi partono dalla sua mano; là si nasconde la sua potenza.

Benvenuto; Il Signore porga l'orecchio alla tua preghiera e ti benedica

Salmo 20:" Ti ascolti il Signore nel giorno della prova,
ti protegga il nome del Dio di Giacobbe.
Ti mandi l'aiuto dal suo santuario
dall'alto di Sion ti sostenga

Gesù è il Signore

Gesù è il Signore
Se predichi Gesù, egli scioglie i cuori duri Se lo invochi, addolcisci le amare tentazioni Se lo pensi, ti illumina il cuore Se lo leggi, Egli ti sazia la mente (S. Antonio da Padova)

Dio è Amore (1 Giovanni 4,8)

Salmo 102, 1-6:

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia;
egli szia di beni i tuoi giorni
e tu rinnovo come aquila la tua giovinezza.

Il Signore agisce con giustizia
e con diritto verso tutti gli opppressi.

IL SIGNORE GESU'

"Vi ho detto queste cose, affinche abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazione: ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo".
(Giovanni 16,33)


Buon Anno nel Signore



Galati 4,4-5:"Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perchè ricevessimo l'adozione a figli"

Baruc 5,3-4:" Dio mostrerà il tuo splendore, Gerusalemme, ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre:
Pace della giustizia e gloria della pietà.

Buon anno 2010, nel Signore Gesù.
Amore e fedeltà s'incontrano, alleluia.
Pace e giustizia si abbracciano, alleluia.

Perchè viviamo ogni giorno dei 365 gg. del 2010 da figli di Dio:
Nm 6,24-26:"Ti benedica il Signore e ti protegga.
Il Signore faccia brillare su di te il suo volto e ti si propizio.
Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace

La Santa Sede

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Chiesa Cattolica Italiana

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La Sacra Bibbia in italiano online

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Padre nostro nei testi ebraico, aramaico, greco, latino (Vulgata)

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Custodiamo la Parola - Vita

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Custodiamo la Parola - le tre colonne

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Custodiamo la Parola - Scrittura

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Fr. Raniero Cantalamessa, ofmcap - Prediche e Conferenze

Fr. Raniero Cantalamessa, ofmcap - Prediche e Conferenze: "“Chiamati da Dio alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo”
2008-12-12- Seconda Predica di Avvento alla Casa Pontificia
(AUDIO)

Per rimanere fedeli al metodo della lectio divina, tanto raccomandata dal recente sinodo dei vescovi, ascoltiamo anzitutto le parole di san Paolo sulle quali vogliamo riflettere in questa meditazione:

“Quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo” (Fil 3, 7-12).


1. “Perché io possa conoscere Lui…”

La volta scorsa abbiamo meditato sulla conversione di Paolo come una metanoia, un cambiamento di mente, nel modo di concepire la salvezza. Paolo però non si è convertito a una dottrina, fosse pure la dottrina della giustificazione mediante la fede; si è convertito a una persona! Prima che un cambiamento di pensiero, il suo è stato un cambiamento di cuore, l’incontro con una persona viva. Si usa spesso l’espressione “colpo di fulmine” per indicare un amore a prima vista che travolge ogni ostacolo; in nessun caso questa metafora è più appropriata che per san Paolo.

Vediamo come questo cambiamento di cuore traspare dal testo appena ascoltato. Egli parla del “bene supremo” (hyperechon) di conoscere Cristo e si sa che in questo caso, come in tutta la Bibbia, conoscere non indica una scoperta solo intellettuale, un farsi un’idea di qualcosa, ma un legame vitale intimo, un entrare in rapporto con l’oggetto conosciuto. Lo stesso vale per l’espressione “…perché io possa conoscere Lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze”. “Conoscere la partecipazione alle sofferenze” non significa, evidentemente, averne un’idea, ma sperimentarle.

Mi è capitato di leggere questo brano in un momento particolare della mia vita in cui mi trovavo anch’io davanti a una scelta. Mi ero occupato di cristologia, avevo scritto e letto tanto su questo argomento, ma quando lessi “perché io possa conoscere Lui”, capii di colpo che quel semplice pronome personale “lui” (autòn) conteneva più verità su Gesù Cristo che tutti i libri scritti o letti su di lui. Capii che per l’Apostolo Cristo non era un insieme di dottrine, di eresie, di dogmi; era una persona viva, presente e realissima che si poteva designare con un semplice pronome, come si fa, quando si parla di qualcuno che è presente, indicandolo con il dito.

L’effetto dell’innamoramento è duplice. Da una parte opera una drastica riduzione ad uno, una concentrazione sulla persona amata che fa passare in secondo piano tutto il resto del mondo; dall’altra rende capaci di soffrire qualsiasi cosa per la persona amata, di accettare la perdita di tutto. Vediamo entrambi questi effetti realizzati alla perfezione nel momento in cui l’Apostolo scopre Cristo: “per lui, dice, ho accettato la perdita di tutte queste cose e le considero come spazzatura”.

Ha accettato la perdita dei suoi privilegi di “ebreo da ebrei”, la stima e l’amicizia dei suoi maestri e connazionali, l’odio e la commiserazione di quanti non comprendevano come un uomo come lui avesse potuto farsi sedurre da una setta di fanatici senza arte né parte. Nella seconda Lettera ai Corinzi c’è l’elenco impressionante di tutte le cose sofferte per Cristo (cf. 2 Cor 11, 24-28).

L’Apostolo ha trovato lui stesso la parola che da sola racchiude tutto: “conquistato da Cristo”. Si potrebbe tradurre anche afferrato, affascinato, o con una espressione di Geremia, “sedotto” da Cristo. Gli innamorati non si trattengono; lo hanno fatto tanti mistici al colmo del loro ardore. Francesco d’Assisi andava per i boschi della Verna gridando: “L’amore non è amato!” Io non ho difficoltà, perciò, a immaginare un Paolo che in un impeto di gioia, dopo la sua conversione, grida da solo agli alberi o in riva al mare quello che più tardi scriverà ai Filippesi: “Sono stato conquistato da Cristo! Sono stato conquistato da Cristo!”

Conosciamo bene le frasi lapidarie e pregnanti dell’Apostolo che ognuno di noi amerebbe poter ripetere nella propria vita: “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21), e “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Paolo ci insegna a considerare l’amore per Cristo il bene supremo e tutto il resto, al confronto, spazzatura. Il suo insegnamento è riassunto nella massima della Regola di san benedetto: “Nulla assolutamente anteporre all’amore per Cristo”.

2. “In Cristo”

Ora, tenendo fede a quanto annunciato nel programma di queste prediche, vorrei mettere in luce quello che, su questo punto, il pensiero di Paolo può significare, prima per la teologia di oggi e poi per la vita spirituale dei credenti.

L’esperienza personale ha condotto Paolo a una visione globale della vita cristiana che egli indica con l’espressione “in Cristo” (en Christō). La formula ricorre 83 volte nel corpus paolino, senza contare l’espressione affine “con Cristo” (syn Christō) e le espressioni pronominali equivalenti “in lui” o “in colui che”.

È quasi impossibile tradurre con parole il contenuto pregnante di queste frasi. La preposizione “in” ha un significato ora locale, ora temporale (al momento in cui Cristo muore e risorge), ora strumentale (per mezzo di Cristo). Delinea l’atmosfera spirituale in cui il cristiano vive e agisce. Paolo applica a Cristo quello che nel discorso all’Areopago di Atene dice di Dio, citando un autore pagano: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17, 28). Più tardi l’evangelista Giovanni esprimerà la stessa visione con l’immagine del “rimanere in Cristo” (Gv 15, 4-7).

Su queste espressioni fanno leva quelli che parlano di mistica paolina. Frasi come “Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo” (2 Cor 5,19) sono totalizzanti, non lasciano fuori di Cristo nulla e nessuno. Dire che i credenti sono “chiamati a essere santi” (Rom 1,7) equivale per l’Apostolo a dire che sono “chiamati da Dio alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo” (1 Cor 1,9).

Giustamente, anche in seno al mondo protestante, oggi si comincia a considerare la visione sintetizzata nell’espressione “in Cristo” o “nello Spirito” come più centrale e rappresentativa del pensiero di Paolo che la stessa dottrina della giustificazione mediante la fede.

L’anno paolino potrebbe rivelarsi l’occasione provvidenziale per chiudere tutto un periodo di discussioni e contrasti legati più al passato che al presente e aprire un nuovo capitolo nell’utilizzo del pensiero dell’Apostolo. Tornare a utilizzare le sue lettere, e in primo luogo la Lettera ai Romani, per lo scopo per cui furono scritte che non era, certo, quello di fornire alle generazioni future una palestra in cui esercitare il loro acume teologico, ma quello di edificare la fede della comunità, formata per lo più da gente semplice e illetterata. “Ho un vivo desiderio, scrive ai Romani, di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io” (Rom 1, 11-12).

3. Oltre la Riforma e la Controriforma
È tempo, credo, di andare oltre la Riforma e oltre la Controriforma. La posta in gioco all’inizio del terzo millennio, non è più la stessa dell’inizio del secondo millennio, quando si produsse la separazione tra oriente e occidente, e neppure è quella a metà del millennio, quando si produsse, in seno alla cristianità occidentale, la separazione tra cattolici e protestanti.

Per fare un solo esempio, il problema non è più quello di Lutero di come liberare l’uomo dal senso di colpa che l’opprime, ma come ridare all’uomo il vero senso del peccato che ha smarrito del tutto. Che senso ha continuare a discutere su “come avviene la giustificazione dell’empio”, quando l’uomo è convinto di non aver bisogno di alcuna giustificazione e dichiara con orgoglio: “Io stesso oggi mi accuso e solo io posso assolvermi, io l’uomo”? [1]
Io credo che tutte le secolari discussioni tra cattolici e protestanti intorno alla fede e alle opere hanno finito per farci perdere di vista il punto principale del messaggio paolino, spostando spesso l’attenzione da Cristo alle dottrine su Cristo, in pratica, da Cristo agli uomini. Quello che all’Apostolo preme anzitutto affermare in Romani 3 non è che siamo giustificati per la fede, ma che siamo giustificati per la fede in Cristo; non è tanto che siamo giustificati per la grazia, quanto che siamo giustificati per la grazia di Cristo. L’accento è su Cristo, più ancora che sulla fede e sulla grazia.

Dopo avere nei due precedenti capitoli della Lettera presentato l’umanità nel suo universale stato di peccato e di perdizione, l’Apostolo ha l’incredibile coraggio di proclamare che questa situazione è ora radicalmente cambiata “in virtù della redenzione realizzata da Cristo”, “per l’obbedienza di un solo uomo” (Rom 3, 24; 5, 19). L’affermazione che questa salvezza si riceve per fede, e non per le opere, è importantissima, ma essa viene in secondo luogo, non in primo. Si è commesso l’errore di ridurre a un problema di scuole, interno al cristianesimo, quella che era per l’Apostolo una affermazione di portata più vasta, cosmica e universale.

Questo messaggio dell’Apostolo sulla centralità di Cristo è di grande attualità. Molti fattori portano infatti a mettere tra parentesi oggi la sua persona. Cristo non entra in questione in nessuno dei tre dialoghi più vivaci in atto oggi tra la chiesa e il mondo. Non nel dialogo tra fede e filosofia, perché la filosofia si occupa di concetti metafisici, non di realtà storiche come è la persona di Gesù di Nazareth; non nel dialogo con la scienza, con la quale si può unicamente discutere dell’esistenza o meno di un Dio creatore, di un progetto al di sotto dell’evoluzione; non, infine, nel dialogo interreligioso, dove ci si occupa di quello che le religioni possono fare insieme, nel nome di Dio, per il bene dell’umanità.

Pochi anche tra i credenti, interrogati in che cosa credono, risponderebbero: credo che Cristo è morto per i miei peccati ed è risorto per la mia giustificazione. I più risponderebbero: credo nell’esistenza di Dio, in una vita dopo la morte. Eppure per Paolo, come per tutto il NT, la fede che salva è solo quella nella morte e risurrezione di Cristo: “Se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rom 10,9).

Nel mese scorso, si è tenuto qui in Vaticano, nella Casina Pio IV, un simposio promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze, dal titolo “Vedute scientifiche intorno all’evoluzione dell’universo e della vita”, cui hanno partecipato i massimi scienziati di tutto il mondo. Ho voluto intervistare, per il programma che conduco ogni sabato sera in TV sul vangelo, uno dei partecipanti, il Prof. Francis Collins, direttore del gruppo di ricerca che portò nel 2000 alla completa decifrazione del genoma umano. Sapendolo un credente, gli ho posto, tra le altre, la domanda: “Lei ha creduto prima in Dio o in Gesù Cristo?” Ha risposto:

“Sino all’età di circa 25 anni ero ateo, non avevo una preparazione religiosa, ero uno scienziato che riduceva quasi tutto ad equazioni e leggi di fisica. Ma come medico ho cominciato a vedere la gente che doveva affrontare il problema della vita e della morte, e questo mi ha fatto pensare che il mio ateismo non era un’idea radicata. Ho cominciato a leggere testi sulle argomentazioni razionali della fede che io non conoscevo. Per prima cosa sono arrivato alla convinzione che l’ateismo era l’alternativa meno accettabile. A poco a poco sono giunto alla conclusione che deve esistere un Dio che ha creato tutto questo, ma non sapevo com’era questo Dio”.

È istruttivo leggere, nel suo libro “Il linguaggio di Dio”, come superò questa impasse:

“Trovavo difficile gettare un ponte verso questo Dio. Più imparavo a conoscerlo, più la sua purezza e santità mi apparivano inavvicinabili. In questa amara consapevolezza arrivò la persona di Gesù Cristo. Era passato più di un anno da quando avevo deciso di credere in qualche specie di Dio, ed ora ero arrivato alla resa dei conti. In un bel mattino di autunno, mentre per la prima volta passeggiando sulle montagne mi spingevo all’ovest del Mississippi, la maestà e bellezza della creazione vinsero la mia resistenza. Capii che la ricerca era arrivata al termine. Il mattino seguente, al sorgere del sole, mi inginocchiai sull’erba bagnata e mi arresi a Gesù Cristo” [2].

Viene da pensare alla parola di Cristo: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. È solo in lui che Dio diventa accessibile e credibile. Grazie a questa fede ritrovata, il momento della scoperta del genoma umano fu, nello stesso tempo, dice lui, un’esperienza di esaltazione scientifica e di adorazione religiosa.

La conversione di questo scienziato dimostra che l’evento di Damasco si rinnova nella storia; Cristo è lo stesso, oggi come allora. Non è facile per uno scienziato, specie per un biologo, dichiarasi oggi pubblicamente credente, come non lo fu per Saulo: si rischia di essere immediatamente “cacciati dalla sinagoga”. E di fatti è quello che è successo al Prof. Collins che per la sua professione di fede ha dovuto subire gli strali di molti laicisti.

4. Dalla presenza di Dio alla presenza di Cristo

Mi resta da dire qualcosa sull’altro punto: cosa l’esempio di Paolo ha da dire per la vita spirituale dei credenti. Uno dei temi più trattati nella spiritualità cattolica è quello del pensiero della presenza di Dio [3]. Non si contano i trattati su questo argomento dal secolo XVI ad oggi. In uno di essi si legge:

“Il buon cristiano deve abituarsi a questo santo esercizio in ogni tempo e in ogni luogo. Al risveglio rivolga subito lo sguardo dell’anima su Dio, parli e conversi con lui come il suo padre amato. Quando cammina per le strade tenga gli occhi del corpo bassi e modesti elevando quelli dell’anima a Dio”[4].

Si distingue il “pensiero della presenza di Dio” dal “sentimento della sua presenza”: il primo dipende da noi, il secondo è invece dono di grazia che non dipende da noi. (Si sa che per san Gregorio Nisseno “il sentimento della presenza” di Dio, la aisthesis parousia, è quasi un sinonimo di esperienza mistica).

Si tratta di una visione rigidamente teocentrica che in alcuni autori si spinge fino al consiglio di “lasciare da parte la santa umanità di Cristo”. Santa Teresa d’Avila reagirà energicamente contro questa idea che riappare periodicamente da Origene in poi in seno al cristianesimo sia orientale che occidentale. Ma la spiritualità della presenza di Dio, anche dopo di lei, continuerà a essere rigidamente teocentrica, con tutti i problemi e le aporie che ne derivano, messe in luce dagli stessi autori che ne trattano[5]. È una spiritualità “etsi Cristus non daretur”, come se Cristo non eistesse.

Su questo punto il pensiero di san Paolo ci può aiutare a superare la difficoltà che ha portato al declino della spiritualità del presenza di Dio. Egli parla sempre di una presenza di Dio “in Cristo”. Una presenza irreversibile e insuperabile. Non c’è uno stadio della vita spirituale in cui si possa fare a meno di Cristo, o andare “oltre Cristo”. La vita cristiana è una “vita nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3). Questo cristocentrismo paolino non attenua l’orizzonte trinitario della fede ma lo esalta, perché per Paolo tutto il movimento parte dal Padre e ritorna al Padre, per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. L’espressione “in Cristo” è intercambiabile, nei suoi scritti, con l’espressione “nello Spirito”.

Il bisogno di superare l’umanità di Cristo, per accedere direttamente al Logos eterno e alla divinità, nasceva da una scarsa considerazione della risurrezione di Cristo. Questa veniva vista nel suo significato apologetico, come prova della divinità di Gesù, e non abbastanza nel suo significato misterico, come inaugurazione della sua vita “secondo lo Spirito”, grazie alla quale l’umanità di Cristo appare ormai nella sua condizione spirituale e dunque onnipresente e attuale.

Cosa ne deriva sul piano pratico? Che noi possiamo fare ogni cosa “in Cristo” e “con Cristo”, sia che mangiamo, sia che dormiamo, sia che facciamo qualsiasi altra cosa: “Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre” (Col 3,17; 1 Cor 10,31).

Il Risorto non è presente solo perché lo pensiamo, ma è realmente accanto a noi; non siamo noi che dobbiamo, con il pensiero e la fantasia, riportarci alla sua vita terrena e rappresentarci gli episodi della sua vita (come ci si sforzava di fare nella meditazione dei “misteri della vita di Cristo”); è lui, il risorto, che viene verso di noi. Non siamo noi che, con l’immaginazione, dobbiamo diventare contemporanei di Cristo; è Cristo che si fa realmente nostro contemporaneo. “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. (A proposito, perché non fare subito un atto di fede? Egli è qui, in questa cappella, più presente di quanto lo sia ciascuno di noi; cerca lo sguardo del nostro cuore e gioisce quando lo trova).

Una testo che riflette meravigliosamente questa visione della vita cristiana è la preghiera attribuita a san Patrizio: “Cristo con me, Cristo davanti a me, Cristo dietro di me, Cristo in me! Cristo sotto di me, Cristo sopra di me, Cristo alla mia destra, Cristo alla mia sinistra!”[6]

Quale nuovo e più alto significato acquistano le parole di san Luigi Grignon de Montfort, se applichiamo allo “Spirito di Cristo” ciò che egli dice dello “spirito di Maria”:

“Dobbiamo abbandonarci allo Spirito di Cristo per essere mossi e guidati secondo il suo volere. Dobbiamo metterci e restare fra le sue mani come uno strumento tra le mani di un operaio, come un liuto tra le mani di un abile suonatore. Dobbiamo perderci e abbandonarci in lui come pietra che si getta in mare. È possibile fare tutto ciò semplicemente e in un istante, con una sola occhiata interiore o un lieve movimento della volontà, o anche con qualche breve parola” [7].

5. Dimentico del passato

Concludiamo tornando al testo di Filippesi 3. San Paolo termina le sue “confessioni” con una dichiarazione:

“Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3, 13-14).

“Dimentico del passato”. Quale passato? Quello di fariseo, di cui ha parlato prima? No, il passato di apostolo, nella Chiesa! Ora il guadagno da considerare perdita è un altro: è proprio l’aver già una volta considerato tutto una perdita per Cristo. Era naturale pensare: “Che coraggio, quel Paolo: abbandonare una carriera di rabbino così ben avviata per una oscura setta di galilei! E che lettere ha scritto! Quanti viaggi ha intrapreso, quante chiese fondato!”

L’Apostolo ha avvertito confusamente il pericolo mortale di rimettere tra sé e il Cristo una “propria giustizia” derivante dalle opere - questa volta le opere compiute per Cristo -, e ha reagito energicamente. “Io non ritengo -dice- di essere arrivato alla perfezione”. San Francesco d’Assisi, verso la fine della vita, tagliava corto a ogni tentazione di autocompiacenza, dicendo: “Cominciamo, fratelli, a servire il Signore, perché finora abbiamo fatto poco o niente”[8].

Questa è la conversione più necessaria per noi che abbiamo già seguito Cristo e siamo vissuti al suo servizio nella Chiesa. Una conversione tutta speciale, che non consiste nell’abbandonare il male, ma, in certo senso, nell’abbandonare il bene! Cioè nel distaccarsi da tutto ciò che si è fatto, ripetendo a se stessi, secondo il suggerimento di Cristo: “Siamo servi inutili; abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10).

Questo svuotarci le mani e le tasche di ogni pretesa, in spirito di povertà e umiltà, è il modo migliore per prepararci al Natale. Ce lo ricorda una simpatica leggenda natalizia che mi piace citare di nuovo. Narra che tra i pastori che accorsero la notte di Natale ad adorare il Bambino ce n’era uno tanto poverello che non aveva proprio nulla da offrire e si vergognava molto. Giunti alla grotta, tutti facevano a gara a offrire i loro doni. Maria non sapeva come fare per riceverli tutti, dovendo tenere in braccio il Bambino. Allora, vedendo il pastorello con le mani libere, prende e affida a lui Gesù. Avere le mani vuote fu la sua fortuna e, su un altro piano, sarà anche la nostra.




[1] J.-P. Sartre, Il diavolo e il buon dio, X,4 (Parigi, Gallimard 1951, p. 267.).

[2] F. Collins, The Language of God. A Scientist Presents Evidence for Belief, pp. 219-255.
[3] Cf. M. Dupuis, Présence de Dieu, in D Spir. 12, coll. 2107-2136.
[4] F. Arias (+1605), cit. da Dupuis, col. 2111.
[5] Dupuis, cit., col 2121: “Se l’onnipresenza di Dio non si distingue dalla sua essenza, l’esercizio della presenza di Dio non aggiunge al tradizionale tema del ricordo di Dio, se non un sforzo immaginativo”.
[6] “Christ with me, Christ before me, Christ behind me, Christ below me, Christ above me, Christ at my right, Christ at my left”.
[7] Cf. S. L. Grignon de Montfort, Trattato della vera devozione a Maria, nr. 257.259 (in Oeuvres complètes, Parigi 1966, pp. 660.661).
[8] Celano, Vita prima, 103 (Fonti Francescane, n. 500).
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La santità (visitate il Sito di riferimento è meraviglioso)

La santità: "La Santità

Dio è amore;
chi sta nell'amore dimora in Dio
e Dio dimora in lui (1 Giovanni 4,16).

Non si tratta di un amore naturale, ma di un amore soprannaturale intensissimo, superiore alle capacità di qualsiasi intelligenza creata o creabile.

Ciò è possibile con la grazia, dono con cui Dio si unisce intimamente alla nostra intelligenza e volontà, comunicando loro capacità divine.

Si tratta d una vera 'assunzione nella corrente di carità che è la sostanza stessa di Dio' (Thils, Santità cristiana).

La nostra intelligenza e volontà partecipano della vita di Dio:

'Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio' (Romani 8,14).
La deificazione

E' la partecipazione alla vita e all'intelligenza di Dio che si opera in noi per mezzo della grazia.

Lo afferma lo Spirito Santo nella seconda lettera di Pietro:

'(la potenza divina) ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina'
(2 Pietro 1,4).

Ciò si realizza in Cristo Gesù.
Il santo è partecipe del
Mistero di Cristo.

Annuncia San Paolo:

'Giacché voglio sappiate che lotta sostenga ... affinché siano consolati i loro cuori, uniti strettamente nell'amore, e giungano a possedere tutta la ricchezza della piena intelligenza, sì da conseguire la conoscenza del mistero di Dio (cioè) Cristo, in cui sono tutti i tesori riposti della sapienza e della scienza'
(Colossesi 2,1-3)

Gesù abita in noi.

San Paolo afferma esplicitamente che Gesù, vero Dio e vero uomo, abita in noi per mezzo della fede:

'Cristo dimori nei vostri cuori per mezzo della fede' (Efesini 3,17).
La comunione spirituale

E' innegabile un contatto reale ed efficace non solo con la divinità, ma anche con l'umanità di Gesù, contatto che avviene per mezzo della fede, con l'adesione intima dell'anima a Lui.

Sentiamo la realtà dell'invito di Gesù:

'Venite a me voi tutti, che siete affaticati e oppressi ed io vi consolerò' (Matteo 11,28).


' ... usciva da lui una forza che guariva tutti' (Luca 6, 19).

Come nella sua vita mortale, così ora, dalla sua umanità unita alla divinità, esce una speciale virtù santificatrice.

I discepoli di Emmaus parlando dello sconosciuto pellegrino che avevano incontrato lungo il viaggio, esclamano:

Non ci ardeva forse il cuore in petto, mentre per strada ci parlava e ci spiegava le Scritture?'(Luca 24,32).

Il santo è un 'intimo' a Gesù Cristo.
Questo contatto vivificante con Cristo è possibile in ogni momento. In questa comunione si creano relazioni di una stupenda intimità interiore con Gesù.

I teologi cercano di studiare la meravigliosa esperienza con Cristo dei grandi santi.


Il Cantico dei Cantici continua nei secoli, forse oscuro, forse nella desolazione, nella notte dello spirito, a volte nel fulgore dell'estasi.

Quali relazioni di cuore e di anima con il Cristo!

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La nostra fede in Cristo

Colossesi 2, 6-15:"Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie. Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.
E' in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi avete in lui parte alla sua pienezza, di lui cioè che è il capo di ogni Principato e di ogni Potestà. In lui voi siete stati anche circoncisi, di una circoncisione però non fatta da mano di uomo, mediante la spogliazione del nostro corpo di carne, ma della vera circoncisione di Cristo. Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti per i vostri peccati e per l'incirconcisione della vostra carne, perdonandoci tutti i peccati, annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo privato della loro forza i Principati e le Potestà ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale di Cristo" Alleluia

meditazioni bibliche « Nati dallo Spirito

meditazioni bibliche « Nati dallo Spirito: "Chi è Gesù Cristo? Vediamo cosa dice Colossesi 1:12-18, specialmente versetto 15: “Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione”.

La “grazia… e [la] pace da Dio, Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (Col 1:2) sono la tua eterna speranza, come gli Apostoli Paolo e Timoteo insegnano nell’epistola ai Colossesi? Essi affermano che la risposta a questa domanda dipende dall’avere fede in Dio e nella persona di Gesù Cristo (Col 1:4). Quindi, all’inizio dell’epistola essi introducono un passaggio (Col 1:12-18) che è un commento acuto sulla persona, l’opera salvifica e l’importanza unica del “nostro Signore Gesù Cristo” (Col 1:3), che esige fiducia in Lui.

I primi due versetti del passaggio (Col 1:12-13) dichiarano che l’unione con Gesù Figlio di Dio qualifica coloro che Lo scelgono come “… capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce”, dal momento che Dio “ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore”.

Ciò che essi dicono è direttamente rilevante per la nostra vita ed esistenza come esseri umani, e riguarda tutto ciò con cui ci confrontiamo ogni giorno nelle nostre vite.

Iniziamo con la frase “il Dio invisibile” (v. 15). Se accettiamo la presenza e l’autorità che Dio esercita sull’universo, immediatamente ammettiamo di vivere davanti a Colui Che tocca vite, esperienze e speranze di ognuno. Gli Apostoli affermano inoltre che “ne avete già udito l’annuncio dalla parola di verità del Vangelo che è giunto a voi, come in tutto il mondo esso porta frutto e si sviluppa” (Col 1:5-6). Ciò riguarda Cristo Gesù il Quale un compagno Apostolo di Paolo e Timoteo – Giovanni – asserisce essere colui “… che noi abbiamo udito … che noi abbiamo veduto con i nostri occhi … che noi abbiamo contemplato e … che le nostre mani hanno toccato” (1Gv 1:1).

Il Signore Gesù Cristo del Quale Paolo parla “…è l’immagine del Dio invisibile” (Col 1:15).

Ma l’Apostolo Paolo fa un passo avanti e dichiara che per mezzo di questo Gesù Cristo “…furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (v. 16) Egli annuncia che il Signore Gesù Cristo è il nostro Creatore, essendo esistito ” prima di tutte le cose” (v. 17). E noi medesimi esistiamo a causa Sua. Infatti, ogni cosa esiste a causa Sua, persino persone ed eventi che ci toccano e che noi non vediamo, poiché l’intera Creazione continua ed esiste per Sua scelta e Sua volontà, poiché “…in Lui tutte le cose sussistono” (v. 17)

Tali affermazioni non sono soggette a prove scientifiche od oggettive, ma dipendono dalla fede, dal ritenere le parole degli Apostoli come fondate, meritevoli e applicabili alla vita che tu e io stiamo conducendo, alle nostre scelte, e a tutto ciò che intraprendiamo giorno dopo giorno. Essi elevano Cristo nostro Dio in testa al Suo “…corpo, la Chiesa” (v. 18); e pone i membri della Chiesa sotto il suo comando e la sua autorità, dal momento che Egli ha “…il primato” (v. 18)

Tali asserzioni degli Apostoli non possono che influenzare il nostro sguardo sul mondo, come ci relazioniamo con le altre persone, ciò che consideriamo seriamente, e anche ciò che consideriamo secondario, anche futile.

Bisogna ora considerare l’elemento più importante nell’insegnamento degli Apostoli in questi versetti. Essi mostrano perché Gesù Cristo, Figlio di Dio, divenne visibile nel corso della storia umana, cioè, perché Egli prese la nostra carne dalla sua madre umana: ciò avvenne perché noi potessimo essere “liberati dal potere delle tenebre e … trasferiti nel [Suo] regno” (v. 13). Chi contesterebbe il fatto che siamo circondati da ogni lato da tremendi tenebri? Violenza, depravazione, immoralità, malattia e morte ci minacciano. Ciò rende il messaggio degli Apostoli pertinente.

Sappiamo cosa significa “…il Suo sangue e il perdono dei peccati” (v. 14) e che Egli è “…il primogenito tra i risorti” (v. 18), una promessa di viva ed eterna redenzione (v. 14) dalla minaccia della morte e delle tenebre. Sì, vi è grazia e pace da Dio nostro Padre!

Gloria a Te, Che ci hai mostrato la luce. Gloria a Dio nell’alto dei cieli…e…pace e benevolenza tra gli uomini.

tradotto da “Dynamis” (gruppo ortodosso di meditazione biblica:"

SPIRITUALITA « Nati dallo Spirito

SPIRITUALITA « Nati dallo Spirito: "“Ti perderai perché abbandonerai la legge della Croce”

Amato e benedetto fratello, pace e amore.

Mi ha molto rincuorato ricevere tue notizie dal fratello fedele che mi ha consegnato la tua lettera. Sono felice di sentire che cammini con il Signore.

Attraverserai un periodo difficile nel quale il mondo ti priverà di molte cose che ami e nelle quali trovi ristoro. E ti perderai perché abbandonerai la legge della Croce. Ma ritornerai con un pentimento più forte del primo. Questo è un avvertimento da parte del Signore. Credimi ho molto pianto quando ho sentito queste parole dal Signore Gesù. Gli ho chiesto di rendere questa tua sofferenza a vantaggio della salvezza.

Non essere triste. Rimetti la tua volontà a Colui che per te ha voluto l’estraniamento in un mondo straniero, il mondo dell’università, nel quale scorre a fiumi la conoscenza umana svuotata della conoscenza divina.

Abbiamo tutti mangiato dall’albero della conoscenza del Bene e del Male perciò ne cerchiamo ancora i frutti per mangiarne ogni giorno. La vera conoscenza del Bene, invece, è la conoscenza del Signore mentre la vera conoscenza del Male è conoscenza degli espedienti e delle furberie di Satana di cui dice l’Apostolo: “non ignoriamo i suoi pensieri”.

A proposito di quanto mi chiedi sul ‘morire con Cristo’, sappi che noi moriamo con il Signore attraverso la potenza del Signore allorché rigettiamo la vita secondo le passioni e i criteri del mondo. Noi non possiamo accettare di morire con il Signore se non per la potenza e la Grazia dello Spirito santo. Perché lo Spirito santo ha unto Gesù perché fosse “Cristo” [l'Unto, N.d.T.] il quale per mezzo dello Spirito santo fu crocifisso e per mezzo dello Spirito santo risorse. Non perché il nostro Signore Gesù sia debole e necessiti della potenza dello Spirito santo ma perché il Signore Gesù si è fatto carne affinché stabilisse e fissasse in Lui, ossia nella sua divina ipostasi incarnata, la nostra compartecipazione con il Padre e lo Spirito santo.

Allo stesso modo, per mezzo dello Spirito santo, diciamo con l’Apostolo: “Con Cristo sono stato crocifisso”. E’ lo Spirito santo, infatti, che ci fa confessare Cristo come Signore e Salvatore laddove confessare la divinità di Cristo è alla base di ogni cosa. Confessare, invece, Cristo come Dio crocifisso è fonte di ogni vita e di ogni grazia. Non basta, infatti, dire che Gesù è Signore ma bisogna dire che è anche Salvatore. Egli è Salvatore perché è morto sulla croce. Perciò, caro figlio benedetto, noi siamo crocifissi per soccorso e grazia del Signore Spirito Santo perché la Croce si oppone al modo di pensare e di misurare del mondo. Essa è infatti amore dei nemici, perdono del torto, consegna assoluta nelle mani del Padre, offerta volontaria. Tutto ciò proviene dal Crocifisso e per mezzo del Crocifisso. Infatti, noi non possiamo essere crocifissi con la forza di volontà. Non possiamo cioè accettare da noi stessi la morte di Gesù dentro di noi, la morte all’ego, l’offerta di noi stessi per amore e non per timore.

Filemone al-Maqari, monaco egiziano
Lettera undicesima (datata 3 maggio 1967)"

La preghiera di Gesù e lo Spirito Santo « Nati dallo Spirito

La preghiera di Gesù e lo Spirito Santo « Nati dallo Spirito: "La preghiera di Gesù e lo Spirito Santo

corona2.jpgPrima che lo Spirito intercedesse per noi «con sospiri ineffabili» (Rm 8:26), Esso si muoveva – e si muove – verso Gesù con brama indicibile. L’Apocalisse ci mostra lo Spirito Santo e la Sposa, la Chiesa, invocare il Signore.
Quando ripetiamo il nome di Gesù, dunque, possiamo capire e provare i sospiri e gli afflati dello Spirito Santo, espressione del Suo desiderio e della Sua brama verso Gesù. Così entreremo nel mistero del rapporto del sacro amore che esiste tra lo Spirito Santo e il Figlio.

(Anonimo, La preghiera di Gesù, Chiesa di San Giorgio di Sporting, Alessandria d’Egitto, p. 54)"

La preghiera di Gesù e Dio Padre « Nati dallo Spirito

La preghiera di Gesù e Dio Padre « Nati dallo Spirito: "«In principio era il Verbo» (Gv 1:1). La persona di Gesù, la seconda ipostasi, è il Verbo vivo di Dio con il quale il Padre parla prima di tutti i tempi. Al nome di Gesù è stato destinato uno statuto divino particolare: esso è, infatti, la parola viva pronunciata dal Padre. Questo nome partecipa al pronunciamento eterno e potremmo dire, in termini umani, che il nome di Gesù è l’unica parola umana che il Padre ha pronunciato prima di tutti i tempi. Il Padre ha generato la sua parola prima di tutti i tempi ed essa è stata generata eternamente nell’ente divino.

(Anonimo, La preghiera di Gesù, Chiesa di San Giorgio di Sporting, Alessandria d’Egitto, p. 57-58)"

Il tuo nome Gesù (Esmak ya Yasu’) « Nati dallo Spirito

Il tuo nome Gesù (Esmak ya Yasu’) « Nati dallo Spirito: "Il tuo nome Gesù (Esmak ya Yasu')

Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
nel tuo nome innalzo le mie mani in preghiera
e vivo i miei giorni

Il tuo nome, torre inattaccabile
in essa mi riparo
rifugio inespugnabile
nel quale trovo protezione

Nel tuo nome trovo realizzate le mie speranze
nel tuo nome la mia pace
Il tuo nome Gesù è il nome più bello

Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
nel tuo nome innalzo le mie mani in preghiera
e vivo i miei giorni

Il tuo nome è ammirabile
il tuo nome, Consigliere, Principe della pace, Dio potente (cfr. Is 9:5)
altro nome non esiste con cui ottenere salvezza (cfr. Atti 4:12)
Il tuo nome Gesù è il nome più bello

Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
Il tuo nome, Gesù, è il nome più bello
nel tuo nome innalzo le mie mani in preghiera
e vivo i miei giorni

Il tuo nome, cintura di salvataggio
ad essa mi aggrappo
il tuo nome, fonte della vita
alla quale mi disseto
A te mi prostro
e la mia lingua confessa
il tuo nome, Gesù, è il nome più bello

tratta dall’album “Ya sabab wugudi”
del gruppo egiziano “The better Life”"

IL GIUSTO VIVRA’ PER LA SUA FEDE

IL GIUSTO VIVRA’ PER LA SUA FEDE: "IL GIUSTO VIVRA' PER LA SUA FEDE

La dichiarazione fatta dal profeta Abacuc “ Il Giusto Vivrà per la sua Fede” ( Abacuc 2:2 4) racchiude vari significati ed è citata tre volte nel Nuovo Testamento: nei Romani 1:17, nei Galati 3:11 e negli Ebrei 10:38.

La giustizia è uno dei principali argomenti trattati nel libro dei Romani. Dio concede giustizia al genere umano sulla base della fede. Ecco come è stata ottenuta da Abramo: … egli credette nel Signore che glielo ascrisse a giustizia (Gen. 15:6).

Poiché la promessa d'esser erede del mondo non fu fatta ad Abramo o alla sua progenie in base alla legge ma in base alla giustizia che viene dalla fede ( Romani 4:13).

Dio, dunque, mette la persona che ha fede nella giusta correlazione con Lui e dichiara che chiunque è giusto in base ai principi della fede, vivrà.

Un attento esame delle parole “fede” e “vita” spiega il significato di questa frase: “Fede” è la traduzione della parola ebraica “Pistis” che per fede intende dire fiducia. “Vita” deriva dalla parola “Zao” e si può intendere in maniera letterale o figurativa. Vivere significa animarsi, respirare, essere vivo, essere protetto, godersi la vita, recuperare la salute e vivere eternamente.

Per me, quindi, l'espressione “Il Giusto vivrà per la sua fede” significa che io posso sperimentare la vita nella sua pienezza solo se ripongo la mia fiducia nel Signore.

Egli disse, “ Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Giovanni 14:6). Egli dona la vita, la arricchisce, la sostiene, la protegge ed la rinnova. Per fede la otteniamo nella sua pienezza.

Nel capitolo 3 della lettera ai Galati, l'Apostolo Paolo si rivolge a quei Cristiani che avendo ottenuto la salvezza per mezzo della fede, cercano ora la discolpa per mezzo delle opere. Nel verso 11 egli menziona Abacuc 2:2-4 per sottolineare che il modo di Dio per discolpare i peccatori è la fede, e solo la fede; non le opere; poiché “… l'uomo non è giustificato per le opere della legge ma lo è soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo…poiché per le opere della legge nessuna carne sarà giustificata.” Galati 2:16.

Ed ancora egli dice: “…la vita che vivo ora nella carne la vivo nella fede nel Figliolo di Dio il quale m'ha amato ed ha dato se stesso per me” Galati 2:20

Per cui, coloro che hanno fiducia in Gesù Cristo, che è la nostra giustificazione, liberano la vita di Cristo per mezzo della loro fede (essi “vivono grazie alla fede”)

Il passaggio di Abacuc menzionato nel Nuovo Testamento per la terza volta si trova in Ebrei 10:38. Così come il profeta dell'Antico Testamento, lo scrittore del libro degli Ebrei, riportando la frase “il giusto vivrà per la sua fede” oppure “ il giusto per la sua fede vivrà”, intende dire che la persona piena di guai che ripone la sua fede in Dio vivrà grazie a tale fiducia.

Dio, che risponde alla fede, sarà fedele nel dare la liberazione . In questo caso “vivere” significa avere la propria vita naturale preservata. Per mezzo della fede Noè visse attraverso il diluvio. Anche Daniele, quando fu gettato nella fossa con i leoni, ne usci' vivo grazie alla sua fede.

…tu entrerai nell'arca, tu e i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli con te….. E di tutto ciò che ha vita, cioè di ogni animale, fanne entrare nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te” Gen. 6:19-19

“Il re si rallegrò grandemente e ordinò di trarre fuori Daniele dalla fossa e Daniele fu tratto fuori dalla fossa e fu trovato indenne perché aveva avuto fiducia nel suo Dio” Dan 6:23
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In conclusione, la frase “il giusto vivrà per la sua fede” dichiarata da Abacuc e riportata da Paolo e dallo scrittore degli Ebrei, comunica l'idea che la fede ci pone in diretta relazione con Dio e libera attraverso di noi la Sua Vita in tutte le dimensioni: eterna, spirituale e naturale
Laura Pedota"